Elaborazione di esperienze traumatiche

Ansia Pisa
ELABORAZIONE DI ESPERIENZE TRAUMATICHE

Il trauma in ottica Rogersiana si produce nel momento in cui un’esperienza, che per qualsiasi ragione va al di là della costruzione che la persona si è fatta del mondo, del reale, non viene “filtrata” dalle difese, anche per il carattere di repentinità ed innegabilità, rendendo l’esperienza incongruente con il sé.

L’esperienza non è assimilabile, ma simbolizzata correttamente. E’ come se improvvisamente il cliente si trovasse gettato in un mondo che ammette l’impensabile. Una sorta di materializzazione della paura. La paura e lo smarrimento di fronte alla ricerca della “fuga quando non c’è via di fuga” (Putnam, 1992, p. 104).

Di fronte al trauma i processi di difesa non funzionano portando alla disintegrazione della struttura del sé, Rogers descrive tale processo illustrando che:

  • 1. se esiste un forte stato di disaccordo tra il sé e l’esperienza e se questo disaccordo, in seguito a qualche esperienza critica, viene a essere svelato in modo improvviso e innegabile: il processo di difesa si rivela impotente;
  • 2. il soggetto prova questo stato di disaccordo a livello della “sottocezione” e diviene ansioso. L’intensità dell’angoscia è proporzionale alla vastità del settore del sé colpito dalla minaccia;
  • 3. rivelandosi impotente il processo di difesa, l’esperienza diviene correttamente simbolizzata. Sotto lo shock di questa presa di coscienza, si produce uno stato di disorganizzazione psichica;
  • 4. in questo stato di disorganizzazione, l’individuo manifesta spesso un comportamento strano e instabile, determinato talora da esperienze che fanno parte della struttura del sé e talora da esperienze che non ne fanno parte. (Rogers e Kinget, 1970, p. 187).

La tesi di Joseph, con la quale concordiamo, è che: “tale processo avviene anche in riferimento ad eventi traumatici […]. Può essere definito dunque traumatico tutto ciò che, pur non essendo strettamente traumatico di per se stesso, tende a collocarsi nell’area del sé minando la sua struttura: il rapporto persona-ambiente, persona-altri viene sovverchiato.”

In ottica rogersiana gli eventi traumatici risultano incongruenti con il sé. Il mondo diventa irriconoscibile perché l’accadimento dell’evento, nemmeno pensato, distrugge tutto ciò che rende il mondo più o meno prevedibile. La precedente modalità di interpretazione del mondo si rivela inutilizzabile. Crollano i costrutti e vengono trapassate le difese. Siamo di fronte ad un trauma quando l’evento supera la nostra capacità di contenimento. Vi è la minaccia alla vita psichica, ragione per cui ciò che avviene resta troppo reale e non sufficientemente mentale. Quindi, potremmo definire traumatico tutto il reale, che non riesce a venire pensato, e resta come un’estraneità rigida e dura (Benvenuto, 1998).

Si tende a considerare come trauma tutto ciò che determina una minaccia per la continuità della vita psichica e in cui si profila per il soggetto un’esperienza, che potremmo definire di morte, se intendiamo per morte non la morte fisica di per se stessa, ma una caduta della continuità della familiarità del mondo, della sua accettabilità e del senso di vita del soggetto (Lingiardi, 2003).

Non è, però, corretto pensare che la realtà non sia in sé reale, ma è giusto riconoscere che la realtà che conta per il soggetto è quella che effettivamente esiste per lui. In questa ottica, la realtà da protagonista in senso assoluto si fa evanescente, nel senso che è prevalentemente dall’interno del soggetto che si fabbrica l’avvenimento. In altre parole, l’avvenimento è una questione di significatività la cui chiave risiede nelle strutture intrapsichiche. Il reale offre il materiale occasionale per i terrori umani. L’evento non è solo ciò che noi subiamo, ma è l’incontro interiore, il face-à-face con noi stessi di cui gli accadimenti diventano il supporto casuale.

Ciò che rende traumatico un evento, oltre all’eventuale oggettività, dipende dalla struttura del sé preesistente. L’evento fungerebbe da detonatore. Lo stesso Rogers sostiene che vi siano altrettante realtà quante sono le persone (Rogers, 1983).

Infatti, ciò che il trauma va a minare è la costruzione della realtà che si è fatto l’individuo. L’evento traumatico diventa la dimensione traumatica perché coinvolge più facce della vita di un individuo: la relazione con il proprio sé, con il mondo e con gli altri. E’ come se l’evento aprisse più dimensioni parallele a quella vissuta fino al suo accadimento. Si creano nella vita del cliente “tre momenti fenomenologici: prima, durante e dopo l’evento traumatico. Nell’esperienza del cliente, ognuno di questi momenti è allo stesso tempo un mondo, che comprende particolari visioni di sé, delle altre persone e del mondo in generale” (Elliott et al. 2000, p. 314).

In terapia, occorre compiere lo sforzo di seguire il processo che ha avuto inizio con il trauma e che ha portato alla dimensione traumatica specifica.

Scomodiamo la letteratura, con il suo linguaggio capace di arrivare al centro delle dinamiche umane, per vedere condensato il processo descritto:
“Prese la lanterna da terra e la sollevò all’altezza del mio viso.”
-“Hai una brutta faccia” sentenziò.
-“Indigestione” replicai.
-“Di cosa?”
-“Di realtà”
(Ruiz Zafòn, 2008, p. 481)
Tratto dal mio art.“Dal trauma alla dimensione traumatica. Una visione Centrata sulla Persona” in Da Persona a Persona – Rivista di studi Rogersiani, Marzo 2013, Alpes Italia, ISSN 2240-7626

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